Storia

Paese_Alto_notte_miniDel primo nucleo abitativo di San Benedetto, definito come “Plebs Sancti Benedicti in Albula”, dal nome del santo protettore e titolare della chiesa omonima, nonché del torrente che tuttora l’attraversa, si hanno tracce remote. Il primo significativo mutamento urbanistico si ha nel 1146 quando i signori Azzo e Berardo di Gualtiero ottengono l’autorizzazione dal vescovo Liberto di Fermo a realizzare un “castrum” sul colle ove sorge la pieve, pur nel rispetto delle pertinenze di questa, assumendo il nome di “Castrum Sancti Benedicti”.

Negli Statuti trecenteschi della città di Fermo, a cui San Benedetto è soggetto, esso è classificato tra i castelli di media dimensione, indicato come riveriae maris (della riva del mare), oltre alla classificazione di “castello di confine”. Queste attribuzioni di “marittimo” e di “confine” ne fanno un presidio unico nell’ambito della numerosa schiera dei comuni del comitato fermano.

Tra il suo territorio ed i confini meridionali con il comitato ascolano rimane a lungo ciò che resta dell’antico Castello di Monte Aquilino che risulta essere amministrato direttamente da Fermo sino al 1816, e che funge da spazio “cuscinetto” sul confine con il comitato ascolano. Questo territorio, rimasto dal 1816 al 1860 come semplice “appodiato”, è oggi del Comune di San Benedetto del Tronto, così come dal 1935 lo è Porto d’Ascoli, posto tra il torrente Ragnola ed il Tronto, separato dal Comune di Monteprandone.

Lo sviluppo demografico, quindi urbano ed economico, di “San Benedetto del Tronto”, ha subìto alterne vicende ove hanno svolto un ruolo determinante le immigrazioni, rese necessarie per il ripopolamento sul finire del XV secolo e proseguite fino ai giorni nostri in modo significativo, le incursioni e le catture barbaresche, i rapporti con le popolazioni transadriatiche, le epidemie, le successive e massicce emigrazioni in altri luoghi dell’Italia ed all’estero, talune con caratteristiche specifiche legate ai mestieri del mare.

San Benedetto, attraverso questi fenomeni, appare come un luogo ove si approdava con le barche o si giungeva dai paesi dell’interno e ci si stanziava, magari poi per ripartire verso altri lidi, ma sempre lasciando tracce di quegli apporti demografici. Ciò è particolarmente significativo dal XVIII secolo, quando la pesca fa da motivo di attrazione e la viabilità costiera, resa più agevole e sicura, ne fa uno snodo tra lo Stato Pontificio ed il Regno di Napoli.

Tale fenomeno perdura sino alla prima metà del ‘900. Numericamente “povera” di abitanti nel XV secolo (nel 1492 si era ridotta a poco più di 150 “teste”), venne ripopolata dapprima da uomini del contesto anconetano – romagnolo, poi da nuclei veneto – chioggiotti, da individui provenienti dalla Dalmazia e dall’Albania. Nel 1550 si contavano già 520 abitanti, 800 nel 1615 e 1804 nel 1768. Successivamente si ebbero a contare nel censimento del 1812 3348 ”anime”, mentre si registrarono 6897 nel 1881, 11291 nel 1921, 42014 nel 1971.

Il XVIII è il secolo nel quale la popolazione sambenedettese inizia ad uscire dal sovraffollato quartiere “castello”, dopo aver invaso con le nuove costruzioni lo spazio di rispetto delle mura fortificate e talvolta, scavalcate queste verso i giardini sottostanti, espandendosi lungo e al di sotto della strada “Lauretana” (l’attuale statale XVI) indi dei “Paiarà” (toponimo del primo insediamento sviluppatosi sulle terre sottratte al mare, che deve il proprio significato dalle case costruite con paglia impastate con argilla). Poi iniziarono ad essere costruite anche case lungo l’area precedentemente occupata dall’agrumeto dei Moretti (l’attuale via XX Settembre); ed i nuovi sobborghi assunsero i nomi di “S. Antonio e Marina”.

Nel XIX secolo alcuni tristi episodi hanno segnato profondamente la vita di tutto il popolo marinaro. Innanzitutto le vicende francesi-napoleoniche poi le temutissime incursioni barbaresche, l’una del 4 giugno 1803 con la cattura di 90 marinai sambenedettesi, l’altra del luglio dell’anno successivo ove i predati furono 40; il 29 maggio del 1815 i barbareschi catturarono altri 38 sambenedettesi. Questi tre episodi determinarono la mancanza di uomini in grado di provvedere al sostentamento delle proprie famiglie, oltre ovviamente al tracollo di tutta l’economia cittadina.

Solo grazie all’interessamento del governo inglese nel 1816 quasi tutti i sambenedettesi predati dai “levantini” e fatti schiavi ad Algeri o Tunisi poterono fare ritorno a casa.

Ma non era finita qui. I sambenedettesi da sempre hanno dato un contributo di vite umane al mare. Oltre ai numerosissimi naufragi, per fortunali e tempeste che ripetutamente e sistematicamente colpivano le imbarcazioni, nel biennio 1854/55 i sambenedettesi dovettero fare i conti con il colera che ebbe ad uccidere circa 400 persone. L’infezione venne importata da marinai di ritorno da altri porti e presto attecchì, favorita dall’insalubrità del territorio della marina. Infatti, in quel periodo, la maggior parte dell’area prossima alla marina era ancora acquitrinosa e non permetteva, tra l’altro, un razionale stanziamento della popolazione.

Solo dalla seconda metà dell’800, con la decisiva conquista delle terre del mare, San Benedetto prese sempre più le sembianze di piccola cittadina rivierasca.

A seguito dell’aggregazione di San Benedetto al Regno d’Italia, al fine di distinguere questa città da altre omonime, con atto consiliare del 29 luglio 1862 veniva aggiunto l’appellativo “del Tronto”.

Risale al 1886 però una nuova e devastante ondata colerica che in un paio di mesi ebbe a colpire 760 persone provocando la morte di 194 degli attaccati.

L’attività peschereccia, e di conseguenza l’economia sambenedettese, ebbe a ridursi ulteriormente in seguito alle massicce emigrazioni di uomini ed intere famiglie per altri lidi. Viareggio, La Spezia, Bocca di Magra, Anzio, Zara, Fiume, Lussino, Cesenatico sono i centri rivieraschi che hanno accolto, per periodi temporanei o definitivi, le barche della marineria locale. Molti altri sambenedettesi emigrarono a Buenos Aires e a Mar del Plata, in Argentina, e tantissimi altri a Chicago Heights (Illinois) e a S. Diego in California. A memoria di queste massicce emigrazioni, San Benedetto è oggi gemellata con le città di Viareggio, Chicago Heights e Mar del Plata.

Per San Benedetto del Tronto è anche passata la bufera della Seconda Guerra Mondiale e in special modo dei bombardamenti, sia aerei che navali, che oltre a distruggere gran parte del centro cittadino, del porto, del mercato ittico, modificarono definitivamente la scenografia del vecchio incasato. Al “Paese Alto” venne distrutta quasi totalmente la casa parrocchiale e moltissime abitazioni furono ridotte ad un cumulo di macerie, lasciando lo spazio alla Piazza Bice Piacentini (prima della guerra al suo posto c’era un agglomerato di case separate da tre piccole ed anguste vie). Furono colpiti anche l’oratorio e soprattutto l’abside, la cupola con le belle decorazioni ottocentesche della chiesa matrice. Nei tristi ricordi dei sambenedettesi permane soprattutto il bombardamento aereo del 27 novembre del 1943 che, oltre a devastare l’incasato urbano, provocò numerosi feriti e la morte di diversi civili.

(testo di Giuseppe Merlini)

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